Era il Novembre 2015 quando salivo su un aereo per il Kenya con un biglietto di sola andata.
All’aeroporto c’erano mia madre e mio fratello.
Credo che in famiglia nessuno abbia la dote di sapere come dire addio, o meglio arrivederci a non si sa quando.
Mio padre non c’era, era al lavoro. L’ultima volta che lo vidi prima di partire pretendemmo che fosse un giorno qualunque in cui lui usciva per andare al lavoro e rientrare dopo 8 ore e io avevo la mia stanza tutta in subbuglio, non perché stessi per partire per sempre, ma perché sono una disordinata cronica e la mia stanza non ha mai visto più di 3 giorni di fila di ordine.
Così salutai mio padre con un “ciao” ed un sorriso e lui rispose con un “buon viaggio” mentre usciva dalla porta.
Poi mio fratello e mia madre mi avrebbero portata in aeroporto.
Mi avevano guardata trascinare le 2 valigie e lo zaino giù per le scale di casa e lungo il cortile, volevo farlo da sola: presto avrei dovuto imparare a fare tutto da sola.
UNA SORPRESA
Vicino alla macchina parcheggiata c’era una sorpresa: un addio per me che non so dire addio. Un gruppo di amiche avevano raccolto dentro un barattolo della Nutella tanti biglietti colorati che non erano solo biglietti, ma erano ricordi, erano risate, erano momenti che avevamo condiviso e che ci avrebbero legate per sempre. Poi c’era un sacchetto della Kuki in cui metterli in caso il vaso non ci fosse stato nello zaino.

E poi c’era una cornice fatta con cannucce e il tappo di un barattolo di nutella (e ciò mi fece pensare a quanta le mie amiche ne abbiano dovuta mangiare per farmi quei regali) che racchiudeva una foto di 3 di noi; una foto scattata alla fine di una breve vacanza insieme, mentre beviamo uno spritz prima di metterci in viaggio per tornare a casa.
Ora, invece, salivo in macchina dicendo per sempre addio alla mia casa con il cancello elettrico che si chiudeva lentamente alle mie spalle come un sipario che segna la fine di quella scena della mia vita.
Dicevo addio a quella casa in cui avevo sempre vissuto e l’unico posto a cui avessi chiamato casa fino ad allora.
Quel posto che vidi invecchiare e rimodernarsi mentre crescevo. Quei balconi dove mossi i primi passi e da dove potevo guardare la prima neve ogni inverno.
La mia stanza che e’ stata il set di mille soap opera con Barbie e Ken protagonisti e la cui porta sbatteva forte quando litigavo con i miei.
Ora lasciavo quella casa e quella stanza che sarebbe sempre rimasta la mia stanza, anche se ora mia madre la usa come un ripostiglio.
PARTIVO PER SEMPRE
Durante il viaggio eravamo silenziosi, solo la musica faceva un po’ di rumore e per quel giorno pensai che mi sarebbe mancata anche la musica terribile che mio fratello ascoltava.
Arrivammo in aeroporto, scaricammo le valigie e ci dirigemmo verso l’ingresso. Questa volta mi feci aiutare a trasportare le valigie: se era vero che avrei dovuto imparare a fare tutto da sola, allora mi sembrò giusto farmi aiutare per l’ultima volta e sentire che avevo qualcuno che sarebbe sempre stato lì per me, qualcuno su cui avrei sempre potuto contare, anche con un equatore a dividerci.
Mia madre e mio fratello, ma anche mio padre che era al lavoro, spingevano le valigie per me, un gesto semplice, ma che solo chi ti ama può fare. Solo chi ti ama ti lascia andare lontano, non ti ostacola nella ricerca della felicità e rispetta ogni tua scelta anche se può voler dire un addio. Solo chi ti ama ti aiuta a portare le valigie anche se pesano (e non mi riferisco ai 20 kg massimi).
Entrammo, un’altro sipario si aprì con la porta scorrevole del terminal, ma noi attori non sapevamo cosa dire, nessuno ci aveva dato un copione. In fondo non sempre serve parlare per capirsi, guardarsi negli occhi è sufficiente.
Io mi avvicinai al bancone e pesai le valigie e un battito di orologio (e di cuore) alla volta arrivò il momento del check in.
Volli mia madre e mio fratello lì con me fino all’ultimo momento, un po’ per la paura che qualcosa andasse storto come problemi con il visto, il bagaglio a mano o una mia dimenticanza, e un po’ perché sapevo che sarebbe stato difficile dire addio, sarebbe stato difficile lasciarli andare: sapevo cosa lasciavo dietro il metal detector del check in, ma ancora non sapevo cosa mi aspettava in futuro.

LASCIAVO LA MIA FAMIGLIA
Lasciavo una famiglia semplice, in cui non ci si diceva spesso di volerci bene, ma un piatto sempre caldo, i regali a Natale e le nottate insonni quando si faceva tardi erano il modo silenzioso dei miei genitori per dire a me e mio fratello che ci amano.
E pensavo di non amare mio fratello, visto che litigavamo un giorno sì e l’altro anche, ma da quel giorno di novembre so cosa vuol dire essere fratelli.
Ho lasciato una famiglia semplice, ho preso un aereo e sono partita. Mi sono buttata, non dall’aereo, ma nel buio, in un posto dove potevo perdermi, tra gente che non conoscevo e parlando una lingua straniera. Non c’era un luogo che potessi chiamare casa ad aspettarmi e non c’erano delle persone che potessi chiamare famiglia ad aiutarmi con le valigie. Sola, presi un bus che portava in centro a Nairobi e da lì iniziai la mia nuova vita su un nuovo palcoscenico.
Oggi, dopo 5 anni, sono qui a scrivere. In un posto che chiamo casa e con una persona accanto che mi fa da famiglia.
Eppure non si lascia una famiglia, se ne crema un’altra, ma quella lontana rimane. Come rimangono gli amici, ce ne sono di nuovi, ma solo quelli vecchi sanno come eri vestita quell’anno a carnevale, solo loro si ricordano di quando l’Italia vinse i mondiali e della festa di laurea.
Perciò scrivo questa lettera a chi ho lasciato, ma rimane con me nonostante tutto.
PER VOI
Questa lettera è per la mia nonna, per le cene del sabato sera che mi perdo da anni, per i suoi 90 anni che non ho festeggiato, per quella foto di famiglia da incorniciare in cui non ci sono. È per lei che anche se l’età diceva non fosse saggio ha volato sopra mezzo mondo per conoscere il suo bisgenero e i suoi bisconsuoceri (si dice così?) e anche, perché no, alla faccia della data sulla carta d’identità, per farsi un bel safari. È per lei che si improvvisa esperta di tecnologia e lingue mandando messaggi vocali per salutare e per ricordarmi che prega sempre per noi.
Questa mia lettera è anche per gli altri nonni a cui dissi addio ancora prima di prendere un aereo. È per loro che mi hanno cresciuta, che sono nelle foto serie della Comunione, ma anche in quelle più ridicole mentre cuciniamo una bistecca. È per loro a cui non posso più mettere acqua ai fiori mentre li guardo sorridere dal marmo.
Questa lettera è per la mia mamma. Per quelle domeniche pomeriggio di lockdown in cui annoiata vorrebbe parlare. Per quei gossip di paese che mi racconta perché io resti aggiornata. Per lei che ha creato un profilo su Instagram per vedere le mie foto e che si copia i post in un diario. Per lei che apre la posta per me e ogni anno si ricorda di caricare la SIM italiana.
Questa lettera è per mio papà. Per la sua tanto attesa pensione per cui non posso prenderlo in giro. Per lui che mi tiene aggiornata sulla situazione politica in Italia. Per lui che se un kenyano vince una maratona esulta. Per lui che a distanza di 6 anni racconta ancora la salita sul monte Kenya nei minimi dettagli.
Questa lettera è per i mei genitori perché continuano a prendersi cura di me, quando dovrebbe essere il contrario. Perché progettano viaggi per venire a trovarmi quando io sento nostalgia, ma non posso tornare. Perché mi hanno detto addio che tradotto a modo loro vuol dire “va e cerca la tua felicità”.
Questa lettera è per mio fratello. Per lui che si è costruito una casa, un orto e una vita che io conosco appena. Per lui che ha imparato a cucinare e fare le pulizie dopo che abbiamo passato anni a litigare per chi dovesse fare cosa. È per lui perché l’ho lasciato solo, un po’ figlio unico, con tutte le responsabilità che ciò comporta. Perché non si è lamentato quando ho deciso di partire e prendermi la mia libertà privandolo un po’ della sua.
Questa lettera è per gli zii e i cugini. Per quei tornei di ping pong che non vinco, per i momenti felici e quelli meno che non condividiamo di persona e non solo su WhatsApp. Perché vi dico sempre che vi aspetto, ma non torno da molto.

Questa lettera è per gli amici, quelli veri. Per quei compleanni, lauree, ma anche matrimoni e battesimi in cui non c’ero. È per loro perché anche se non ci sentiamo per un po’ poi al primo messaggio torna tutto come prima e mi sembra che il tempo non sia mai passato. È per loro perché quei bigliettini colorati nel sacchettino Kuki, mi fanno sorridere e piangere allo stesso tempo quando mi sento sola.
Questa lettera è per gli amici che si chiedono ancora perché io sia partita. È per loro che pensano ancora che io viva in Africa in una capanna tra le bestie feroci. È per loro che mi chiedono come faccia a mantenermi e se non abbia buttato via la mia laurea. È per loro che pensano che possa rientrare in Italia con strane malattie contagiose. È anche per loro perché io me ne sono andata lontano, in un luogo sconosciuto tra gente diversa ed ho messo la mia scelta tra me e loro. È anche per loro perché so che non è sempre facile capire e condividere questa decisione.
Questa lettera è per tutte le persone che ho lasciato perché ognuna sappia che ci sono, che sono sempre con voi, che la distanza non ci ha separati. Questa lettera è per le persone che ho lasciato, ma allo stesso tempo porto sempre con me. Questa lettera è per le persone che non sono state capaci di dirmi addio o che me lo hanno detto con un barattolo della nutella vuoto.
Questa lettera è anche per me. Per ricordarmi ogni giorno di quanto io sia fortunata ad avere 2 case, 2 famiglie e mille amici. Questa lettera è per me che non ho saputo e non saprò mai dirvi addio.
Questa lettera è per noi perché ora che non ci possiamo più dire che ci vogliamo bene con un regalo di Natale ve lo dico con il cuore:
Ciao Laura ! Ho letto la tua lettera …sicuramente scritta con il cuore ! Ti capisco … io sono stata ad un passo da fare una scelta come la tua , ma non ho avuto il coraggio di lasciare le mie figlie …anche se razionalmente non le avrei mai abbandonate , ma la distanza o forse, meglio dire , i sensi di colpa mi hanno bloccata. Forse, chissà , da figlia l’avrei fatto , da mamma no! Sei stata e sei coraggiosa ! Hai seguito il tuo istinto , i tuoi desideri . Grande ammirazione per i tuoi , la tua famiglia . Non credere sia facile vedere una figlia che parte , per un futuro non scritto ., per un orizzonte lontano ….grande ammirazione !
Ti lascio un saluto , a te, a quella terra che ho conosciuto , anzi , vissuto e che mi manca , alla tua famiglia keniota e a quella italiana . Un abbraccio grande ! Buona vita Laura Makena!
Ciao Pateizia.
Grazie per le bellissime parole.
Come hai ben detto le nostre scelte personali possono riflettersi sulle persone vicine a noi e non sempre è facile fare una scelta come quella che ho preso io. Per questo ringrazio i miei genitori, mio fratello e tutti quanti per aver accettato il fatto che il Kenya mi chiamasse. Un abbraccio anche a te!